sabato 25 aprile 2009
Dopo gli insuccessi di "Il papà di giovanna" e de "Il nascondiglio", Avati torna a raccontare una storia nostalgica: appartenente ai ricordi della sua infanzia, incarnandosi nel giovane protagonista (che nella pellicola è un cineamatore oltre che voce narrante) .
Lo sguardo di Avati è di rievocazione e di racconto di un epoca vissuta, e si basa su dei brevi e corali racconti di personaggi tipici di quell'ambiente. Il tono nostalgico e colorito tenta di avvicinarsi - nelle aspirazioni - a pellicole come "Amarcord" e per certi tratti goliardici anche ad "Amici miei".
Dove Avati fallisce è nelle ambizioni e nel contenuto finale. Nel momento in cui il regista bolognese cerca il racconto meno intimo e più corale, si perde decisamente per strada incrociando storie che non riescono ad appassionare. Difficile seguire con passione e gustare quindi i molti personaggi presenti. Le poche storie su cui si regge l'intero film (quella di Cavina, forse l'unica che ci riserva una scena decente - il finale con l'ultima di visita di Luisa Ranieri; quella di Lo Cascio - siciliano ninfomane con la passione per le auto e di De Luigi - aspirante cantante che ha il sogno di andare a Sanremo) si disperdono in un film incompleto, che si rivela in scelte stilistiche discutibili come il montaggio scadente o come l'orribile ralenty finale sul ritorno di Lo Cascio.
E soprattutto rivela l'incapacità dell'Avati attuale a raccontare tanti personaggi, facendo passare nel dimenticatoio caratterizzazioni completamente ininfluenti nell'economia del film (vedi Abatantuono, personaggio che verrà ricordato solo per il suo tormentone linguistico "nel suo piccolo" o Ippoliti , sarto bolognese che si riduce ad un'inutile comparsata).
Quello che doveva essere un film amaro, una riflessione sulla misoginia e sul vuoto esistenziale di certi personaggi dell'epoca, si riduce purtroppo in un film di macchiette e di storie che non hanno nulla dell'amarezza che l'Avati dei film migliori ci ha in passato riservato.
La sensazione è quella di aver a che fare con un regista con un suo stile non sempre adatto alle storie ambiziose che racconta e forse a proprio agio più con storie intime. Fallendo forse quando vorrebbe sentirsi autore moderno e corale.
* 1/2
martedì 26 febbraio 2008
Persepolis di Marjane Satrapi e Vincente Parannoud
Marjane è una bimba persiana di nove anni che vive l'esperienza del passaggio tra il regime dello Shah di Persia e la rivoluzione islamica nell'Iran del 1979.
Accolto dalla critica in maniera trionfale (premiato a Cannes e candidato all'Oscar) Persepolis sotto forma di cartone acquista una diversa luce. Difficile dimenticare alcuni momenti vissuti dalla protagonista: dai bombardamenti a Teheran, ai controlli intensi e soffocanti dei Pazdaran (i poliziotti di regime), fino agli splendidi e intensi ritratti familiari. Lo scorrimento del cartone mantiene una leggerezza di racconto che evita ogni possibile lungaggine e , costruita tramite sapienti flashback della sua infanzia e del suo viaggio in Europa, riesce a prendere lo spettatore intimamente, creando un profondo senso di identificazione. L'Europa stessa disegnata dalla Satrapi appare come un luogo di ribellione, di libertà, ma anche come la lontananza da un paese mai dimenticato, dalla famiglia e da certe tradizioni
Nonostante la sua intensità, il film non riesce a raggiungere pienamente la grandezza del fumetto: sia per la limitatezza temporale, sia per l'avvicendamento degli eventi, che risulta (specialmente nella prima parte) troppo svelto e incessante. Ma rimane la fedeltà assoluta nell'ironia (divertentissimi i rapporti con gli amici "alternativi" in Europa o la sua rinascita iraniana sotto la musica di "eye of the tiger) e nel delizioso tratto grafico: la toccante scena dell'incursione dei pazdaran durante la festa tra amici a Teheran ne è un ottimo esempio.
Un cartone che ha il suo valore, quindi, nei toni, mai sopra le righe e assolutamente fedeli allo spirito di un paese troppo spesso tartassato dai luoghi comuni. Persepolis è fatto soprattutto di personaggi "umani" ed è anche un modo per proporre la realtà iraniana con un occhio più attento, sarcastico, coraggioso e profondamente reale.
venerdì 8 febbraio 2008
Cloverfield - Matt Reeves
Prodotto da J. J. Abrams (autore di "Lost" e "Alias") e diretto da Matt Reeves, "Cloverfield" prende come espediente narrativo il modello di "Blair Witch Project" , cercando di tramutarlo in un film catastrofico e avvicinandolo a blockbuster come "Godzilla" e "La guerra dei mondi. A raccontarla un operatore amatoriale che con la sua handycam (che poi tale non è visto che la qualità del 35mm è evidente agli occhi di tutti) racconta la fuga e l'assalto del mostro. Espediente, quindi, del ritrovamento del materiale girato, che permette al film di tentare una riflessione teorica sulla rappresentazione cinematografica, e in realtà diventa un pasticcio di sceneggiatura senza capo ne' coda.
Fallimento principale di questo film è il tentativo di realismo del soggetto, il film appare zeppo di incoerenze narrative (dalla durata della batteria, dall'impossibilità del dilettante operatore di mollare la telecamera, dai funzionamenti dei cellulari sotto la metropolitana) e dimostra ancora una volta quanto certe idee appartenenti al mondo della televisione (le origini di Abrams parlano chiaro) siano solo ed esclusivamente adatte alla tv e non al grande schermo.
Questo film assente totalmente di idee e di coerenza ne è la palese dimostrazione.
mercoledì 6 febbraio 2008
Sogni e delitti - Woody Allen
Ian (Ewan McGregor) e Terry (Collin Farrell) sono due fratelli di ceto sociale medio, che vivono nella periferia Londinese. Uno è un giocatore incallito, l'altro un conquistatore arrivista. Un loro zio chirurgo propone ai fratelli , sotto compenso economico, di uccidere un uomo.
Allen chiude con "Sogni e delitti" la sua trilogia londinese, chiudendo i conti con un film molto diverso dal precedente "Match Point". Se il tema del senso di colpa unisce le sue due ultime pellicole, qui Allen sembra voler raccontare una storia di profondo realismo, strizzando l'occhio al cinema di genere. Nonostante i riferimenti siano comunque associabili ai suoi film passati (qui più che mai il riferimento a "Crimini e misfatti" immediato), Allen in questo caso opera un' indagine sociale, non confrontandosi con temi simbolici e metaforici, ma andando alla natura delle cose. I due protagonisti uccidono con una certa goffaggine e sono rappresentati nel loro crudo arrivismo, chiudendo la loro avventura con una risoluzione tragica che lascia spiazzati.
Azzecatissima la fotografia di Vilmos Zsigmond e le musiche di Philip Glass, il film pur inferiore al precedente Match Point (che lo supera per classe e perfezione narrativa) è ancora più lucido e spietato nel raccontare il tema Dostoewskiano del "delitto e della colpa" rappresentandolo in una realtà non più borghese e intellettuale, ma in una media famiglia che ha bisogno esclusivamente di arrivare e di conquistarsi una rivalsa sociale.
I più evidenti difetti risultano , in una visione generale, la non azzecatissima e definibile caretterizzazione della famiglia e , pur essendo parte di un percorso a se' nella carriera di Allen, alcune similitudini narrative (dall'omicidio di un rivale nel lavoro , alla gestione del senso di colpa di un omicidio legato alla carriera) sono troppo appiccicate a precedenti film. Ci si sarebbe aspettato qualcosa di veramente nuovo, ma il cinema di Allen pur partendo dalle stesse cose ha una classe insuperabile e tempi drammatici dosati allo humour, assolutamente impeccabili.
lunedì 4 febbraio 2008
Into the wild - Sean Penn
Cristopher McCandless è un ventitreenne di buona famiglia che, una volta laureatosi, dopo aver donato in beneficienza i suoi risparmi, decide di intrapendere un viaggio solitario verso l'Alaska, nelle terre selvagge alla ricerca della sua libertà.
Quarto lungometraggio dell'attore-regista americano Sean Penn, "Into the wild" è un film sulla libertà, un viaggio nelle terre desolate dell'America alla ricerca dei suoi personaggi e della sua natura.
Tratto da una storia vera, Sean Penn si ispira ad uno scritto di Jon Krakauer, giornalista che ha indagato la vita, finita con una tragica morte, del ragazzo "ribelle", tirandone fuori un libro che ha ispirato il lungometraggio.
Film di alti contenuti, con una regia suprema e dei tempi narrativi perfetti, "Into the wild" omaggia il grande cinema americano della fuga e del viaggio, ispirandosi a certe atmosfere care a Mallick (si veda a proposito "la rabbia giovane"), non disdegnando momenti sognanti che a volte ricordano pellicole come "una storia vera" di Lynch.
Nonostante certi modelli , il film sembra spingersi anche oltre,descrivendo il personaggio di McCandless come un profeta in fuga dall'oppressione genitoriale. Penn racconta tutto questo servendosi di una colonna sonora perfetta (firmata da Eddie Vedder) , di sequenze visionarie e di un montaggio di grande classe.
mercoledì 2 gennaio 2008
Gli oscar cinematografici del 2007
Miglior film:
Lettere da Iwo Jima
Ratatouille
Io non sono qui
Zodiac
La promessa dell'assassino
Miglior regia:
Todd Haynes (Io non sono qui)
Clint Eastwood (Lettere da Iwo Jima)
David Cronenberg (La promessa dell'assassino)
Robert Rodriguez (Grindhouse - Planet Terror)
Francis Ford Coppola (Un'altra giovinezza)
Miglior attore:
Viggo Mortensen (La promessa dell'assassino)
Tom Cruise (Leoni per agnelli)
Sylvester Stallone (Rocky Balboa)
Ulrich Muhe (Le vite degli altri)
Tommy Lee Jones (Nella valle di Elah)
Migliore attrice:
Cate Blanchett (Io non sono qui)
Meryl Streep (Leoni per agnelli)
Charlize Teron (Nella valle di Elah)
Charlotte Gainsbourg (L'arte del sogno)
Laura Dern (Inland Empire)
Miglior sceneggiatura:
Matthew Michael Carnahan (Leoni per agnelli)
Brad Bird (Ratatouille)
James Vanderbilt (Zodiac)
Tony Gilroy (Michael Clayton)
Florian Henckel von Donnersmarck (Le vite degli altri)
Miglior film italiano:
L'aria salata
Mio fratello è figlio unico
Centochiodi
In memoria di me
Giorni e nuvole
lunedì 17 dicembre 2007
Mitreo Film Festival 2007
Il “Mitreo film festival” è una rassegna cinematografica che si svolge ogni anno a Santa Maria di Capua Vetere, in provincia di Caserta. Festival di cortometraggi e lungometraggi che si svolge in un luogo difficile sia per questioni sociali, sia per una localizzazione geografica non proprio vicina al mondo “ufficiale” e “istituzionale” del cinema. Nonostante la scuola campana annoveri autori interessanti, le difficoltà del luogo non permettono ancora una visibilità di eventi importanti come questo. Per questo motivo la realtà del “Mitreo” si è rivelata come una delle più interessanti per i corti italiani e un miraggio (oltre che un oasi di creatività) - che non può che far bene nel rilanciare il cinema dei giovani autori che sperano nell’illusione di una carriera nella settima arte.
I premi di questo evento prevedevano un assegnazione speciale per i lungometraggi e premi per la sceneggiatura e per il miglior corto.
La sezione "Premio speciale fotogrammi per riflettere" è andata a “Napoli, vita morte e miracoli”, documentario sulla realtà sociale e delinquenziale napoletana. Un premio al miglior corto realizzando da studenti è andato a “Quale Baia!” e a “Un talento inaspettato”.
Lucilla Mininno per “L’ora dei bottoni” ha avuto il premio per la miglior sceneggiatura.
Il premio “Concorso Nazionale Cortometraggi” è andato a Michele Bia per “Meridionali senza filtro”: road movie divertente ambientato nelle zone Lucane; il premio del pubblico a “I colpevoli” di Svevo Moltrasio: corto apparentemente “di genere” che racconta inquietanti momenti di una festa di amici e familiari finita in tragedia. “La signora” di Michele Pagano, monologo di una giovane prostituta che chiude con il suo passato burrascoso e difficile, ha vinto il Premio Speciale della giuria tecnica. Menzione speciale per l’intimista e riflessivo Adriano Valerio con “Da Lontano” e per l’interessante opera videoartistica “Adagio” di Patrizio Cigliano.
Restano dubbi su alcune scelte della giuria. Con giurati che vorrebbero e dovrebbero premiare il cinema giovane e nuovo, il premio per “Meridionali senza filtro” denuncia l’ennesima tendenza a voler dare una visibilità al cinema più “adulto” e pluripremiato. L’età di Michele Bia e i suoi premi vinti (David di Donatello su tutti), se la si confronta impietosamente con la “gioventù” delle opere in concorso, lascia molti perplessi sulla poca originalità di chi decide le vittorie. E la presunta spinta che dovrebbe incoraggiare giovani autori (i presenti stessi) per le loro opere prime non è stata indubbiamente vista.
Una tendenza che si è manifestata anche nel dibattito tra giuria e giovani autori. Conferenza che avrebbe dovuto affrontare il tema del cinema italiano odierno, partendo dalle idee e incoraggiando le nuove leve a insistere e sperimentare sempre più in direzione di opere originali e ardue; si è trasformato in un dibattito politico sulla crisi del “sistema Italia” lasciando stralci di lamentele e poca voglia di parlare di contenuti reali.
Detto questo va un plauso all’organizzazione: su tutti a Rino della Corte, direttore artistico del Festival. Da sempre impegnato a dare dignità al cinema locale e campano e all’intera struttura organizzativa fatta di gentilissimi accompagnatori , runner e addetti di una gentilezza e ospitalità umana e straordinaria.
Un festival funzionante e accogliente, stimolo ed esempio per altri eventi simili che dovrebbero avere come riferimento questa intensa e propositiva rassegna campana.